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UOMINI E COBRA
(THERE WAS A CROOKED MAN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 15 gennaio 1971
 
di Joseph L. Mankiewicz, con Kirk Douglas, Henry Fonda, Hume Cronyn, Warren Oates, Burgess Meredit (Stati Uniti, 1970)
 
Strepitosa rentrée hollywoodiana, dopo molti anni di assenza, dell'autore di LA CONTESSA SCALZA e di IMPROVVISAMENTE, L'ESTATE SCORSA. A più di cinquant'anni Mankiewcz affronta il primo western della sua lunga carriera: parrebbe strano, in questo uomo, colto e intelligente, portato alle commedie brillanti ed agli studi di carattere psicologico.

Ma la sorpresa scompare fin dalle prime sequenze del film, perché subito comprendiamo quale siano gli scopi del regista: smascherare la finzione, demistificare il genere, rovesciare la logica delle conclusioni, il carattere dei personaggi. UOMINI E COBRA è un saggio, stupendamente scritto, di parodia e di humour; si avvicina, in questo senso, ad un altro dei migliori film americani degli ultimi anni, BUTCH CASSIDY AND THE SUNDANCE KID. Ma la sua qualità prima, l'originalità che ne fa un'opera di intelligente ricerca, sta in quella su ansia di sovvertire i valori: quasi che il suo autore, ritornando al tempio del cinema tradizionale, avesse voluto prendersi una clamorosa e polemica rivincita contro il prodotto più celebre di quel cinema, il western appunto.

Riandando alle diverse fasi del film, constaterete come tutte le situazioni, tutti i personaggi reagiscano nel modo esattamente opposto a quello che la "morale" alla quale il genere ci ha abituati ci detta. Così il buono, il puro Henry Fonda, che non beve, non fuma e non va con le donne, se ne va in compenso, alla fine, con i soldi. Così lo scaltro Kirk Douglas, quasi una vittima all'inizio della sua prigionia, riesce finalmente ad accattivarsi l'amicizia e la fede dei compagni. Per mandarli tutti al macello.

Grazie ad una sceneggiatura di grande sapienza, dove tutto è costruito in modo logico e conseguente, dove i fili si tirano alla fine in modo perfetto, Mankiewicz si muove con consumata abilità, movimenti di macchina di rara bellezza, come quelle aperture sul mondo esterno, infinito della libertà. Attraverso il rigore logico del proprio ragionamento il regista raggiunge, paradossalmente, una dimensione fantastica e barocca che è raro riscontrare nel cinema americano; e che trova il suo punto più alto nella sequenza della visita delle autorità alla prigione. Con la parodistica evasione, e la maestra costretta a fuggire nel deserto inseguita dai prigionieri, ormai nuda come un verme. Uno dei più imprevedibili spogliarelli nella storia, invero assai sfruttata, del genere.

Dopo aver firmato alcuni dei drammi più vibranti del cinema americano del dopoguerra, Mankiewicz riesce quindi ancora, in un genere completamente diverso, a confermarsi come uno dei suoi autori più intelligenti ed originali.


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